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Il ruolo di Amgen nell’innovazione biotecnologica|NW


Per il CEO di Amgen Bob Bradway la biologia di prossimità porterà allo sviluppo di nuovi trattamenti mirati per malattie precedentemente considerate non trattabili

Nel corso di due recenti e prestigiose conferenze che si sono tenute tra ottobre e novembre 2021, il Galien Golden Jubilee Forum e il Reuters Total Health Summit, Bob Bradway, CEO di Amgen, ha illustrato gli sviluppi dell’innovazione biofarmaceutica dell’azienda, in particolare per quanto riguarda l’utilizzo della genetica nello sviluppo di nuove terapie innovative in grado di colpire i target di malattie a lungo considerati non trattabili.

“Uno dei motivi per cui stiamo investendo così tanto nella genetica umana e nelle 'scienze omiche' legate al genoma umano è per capire a livello molecolare quali malattie potremmo essere in grado di affrontare utilizzando le nuove piattaforme” ha osservato Bradway al Galien Forum, aggiungendo che Amgen vede in aree come l’oncologia, le malattie cardiovascolari e infiammatorie l’opportunità di “utilizzare le nostre scoperte genetiche per aiutarci a decidere le modalità di svolgimento delle sperimentazioni cliniche che potrebbero avere successo”.

Secondo Bradway l’ormai acquisita esperienza di Amgen nella biologia di prossimità, cioè lo sviluppo di terapie che possono coinvolgere due o più obiettivi proteici contemporaneamente per indurre un effetto biologico desiderato, “ci permetterà di colpire parecchi target che erano considerati non trattabili per renderli invece trattabili”. Quando gli è stato chiesto di identificare quale risultato gli piacerebbe celebrare tra cinque anni, ha risposto: “Quando nel 2026 qualcuno chiederà cosa intendevamo nel 2021 per target 'non trattabile', sono convinto che le nuove piattaforme tecnologiche avranno reso quella domanda irrilevante”.

Bradway ha approfondito questo tema al Reuters Total Health Summit, commentando come i dati genetici umani e altri dati ‘omici’ “ci danno un vantaggio rispetto all’affidamento ai soli modelli preclinici”. Ha quindi attribuito i tassi relativamente bassi di successo della biofarmaceutica in R&S al fatto che “storicamente non abbiamo avuto buone indicazioni di come i farmaci si sarebbero comportati negli esseri umani prima di assumerli realmente”. La genetica umana, e altre discipline a essa associate come la proteomica e la trascrittomica, consentono ad Amgen di usufruire di mezzi “per identificare in anticipo quali terapie o quali percorsi biologici hanno una maggiore probabilità di successo, in base al fatto che possiamo scoprire particolari ‘perturbazioni’ su quei percorsi proprio attraverso la genetica e quindi sfruttare queste informazioni per ottenere una migliore percentuale di successo nello sviluppo di nuove terapie”.

Citando infine il rapido sviluppo di nuovi vaccini e terapie per il COVID-19, Bradway ha detto che “la grande potenzialità del nostro ecosistema innovativo è evidente”. E ha aggiunto quanto sia importante attuare politiche volte ad accelerare l’accesso dei pazienti alle terapie innovative e più efficaci.

“Non c’è troppa innovazione, al contrario non ne abbiamo abbastanza. Questo è il motivo per cui nella nostra società c’è un numero straordinario di persone che soffrono di malattie croniche. Sono patologie che possiamo prevenire o ritardare adottando farmaci innovativi, quindi il nostro obiettivo è cercare di sviluppare questi farmaci e di avviare politiche che contribuiscano a favorire la loro adozione”.

Il responsabile R&D di Amgen David Reese ha ulteriormente approfondito le parole di Bob Bradway nel corso di una sessione di domande e risposte dal vivo al Reuters Summit. Alla domanda su come il COVID-19 modellerà lo sviluppo dei farmaci, Reese ha osservato che Amgen e altre aziende che puntano sull’innovazione stanno ora “portando la sperimentazione al paziente piuttosto che il paziente alla sperimentazione”, prevedendo quindi che “la digitalizzazione degli studi clinici rappresenta uno dei cambiamenti più duraturi prodotti dalla pandemia”. Ha aggiunto che Amgen sta generando enormi quantità di dati genetici da utilizzare per prevedere le strutture delle proteine, ridurre i tempi di sviluppo e aumentare le probabilità di successo. “La sfida", ha quindi concluso, “è quella di integrare questi dati, aggregarli e soprattutto analizzarli. È una vera rivoluzione, che si sta svolgendo proprio ora, sotto ai nostri occhi”.

 

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